Lavoro

Sentenza CORTE DI CASSAZIONE n. 1172 del 13/01/2021

Sentenza CORTE DI CASSAZIONE n. 1172 del 13/01/2021

Sentenza CORTE DI CASSAZIONE n. 1172 del 13 gennaio 2021

La Quinta Sezione ha affermato che, ai fini della valutazione in ordine alla configurabilità del delitto di atti persecutori, legittimamente sono annoverabili tra le condotte rilevanti le ingiurie rivolte dall’agente alla persona offesa in specie in luoghi pubblici o alla presenza di terzi, qualora le stesse, considerate nel complesso, assumano consistenza, ripetitività ed incidenza tali da conferire loro una connotazione molesta, idonea a determinare, unitamente ad altre condotte aggressive contemplate dall’art. 612-bis cod. pen., uno degli eventi tipici del reato.

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

nato il 13/06/1935

avverso la sentenza del 29/11/2019 della CORTE APPELLO di LECCE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SETTEMBRE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA PICARDI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

udito il difensore CAMERALIZZATO

RITENUTO  IN FATTO

1 . La Corte d’appello di Lecce ha confermato la decisione di primo  grado, che aveva condannato           per atti persecutori in danno

Secondo la ricostruzione operata in sentenza l’imputato, avendo dato in prestito  alla           , condomina dello stesso stabile, una somma di denaro, la assillò, minacciò e insolentì per lungo tempo, fino alla restituzione della somma, avvenuta ad agosto del 2011, e nel periodo successivo. Infine, la ingiuriò pesantemente nel corso di una riunione condominiale tenutasi  nel  mese  di  maggio 2013.

2 . Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, con due motivi.

2.1. Col primo lamenta l’erronea applicazione degli artt. 124 e 612/bis cod. pen., nonché un vizio di motivazione – comprensivo del travisamento della prova – con riguardo alla tempestività della querela, contestata dalla difesa. Deduce che, secondo quanto si desume dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, gli atti persecutori – se ritenuti esistenti – sarebbero  cessati,  al  più  tardi,  ad  agosto  2011, epoca di restituzione della  somma  mutuata,  dal  momento  che  l’episodio del maggio 2013 rappresenta un fatto a sé, con origine e motivazione diversa (sarebbe sorto un contrasto, in sede assembleare, circa l’utilizzo degli spazi condominiali) e differente  qualificazione  giuridica  (ingiuria,  ormai  depenalizzata), e quindi del tutto inidoneo a spostare in avanti il  termine  semestrale  di proposizione della querela. Tanto più che il dies as quo per la proposizione della querela decorre – secondo il ricorrente –  dalla  verificazione  dell’evento;  vale  a dire, nel caso di specie, dal momento, certamente precedente  all’agosto  2011, in cui sarebbe insorto il grave e perdurante stato di ansia e di paura preso in considerazione dalla norma, ovvero il mutamento delle abitudini di vita.

2.1. Col secondo motivo deduce un vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta attendibilità della persona offesa e del teste Manca e alla sussistenza dell’elemento psicologico. Rimarca che il teste Manca non è stato testimone diretto di nessuno degli atti  persecutori  lamentati dalla                            e che quest’ultima si è contraddetta su un dato di rilievo, rappresentato dall’epoca in cui si sarebbe trasferita presso la madre per far fronte alle pressanti richieste dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.

1 . Va preliminarmente rimarcato che non è fondata la tesi difensiva, secondo cui non sarebbero  rilevanti,  per  la  tempestività  della  querela,  gli  atti  persecutori posti in esser dopo l’insorgenza – per fatto del reo – di uno degli eventi  previsti dall’art. 612/bis cod. pen.. La verificazione dell’evento costituisce – invero – un elemento della fattispecie, indispensabile per la configurabilità del reato, ma non rende irrilevanti gli atti successivi, i quali – saldandosi con quelli precedenti – approfondiscono ed estendono l’offesa al bene giuridico protetto ed assumono, pertanto, rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della  querela  all’ultimo  atto  della  serie.  La  contraria  opinione,  oltre a non essere  supportata  da nessun serio argomento  giuridico,  finisce col creare una zona franca a vantaggio del)Q persecutore, che si avvantaggerebbe della tolleranza o dello spirito di  sopportazione  della  vittima  allorché  questa  si risolvesse a proporre querela dopo l’ennesimo (e magari più grave) atto persecutorio, quando fossero già cambiate le sue abitudini di vita o  fosse  già insorto in lei un grave e perdurante stato di ansia o di paura. Paradossalmente, proprio nei casi più gravi – caratterizzati da una intensa e prolungata attività persecutoria – si assisterebbe al tentativo del reo di anticipare  nel tempo l’evento  del reato, al fine di dedurre l’intempestività della querela. L’assurdità della conclusione prova l’evidenza e la logicità, oltre  che  l’aderenza  al  dettato normativo, della tesi sostenuta dalla Corte d’appello, che ha valutato la complessività della condotta posta in essere  dall’imputato  ed  ha  ricollegato  al fatto del maggio 2013 il termine iniziale per la manifestazione della volontà querelatoria.

2 . Ugualmente infondata è la pretesa del ricorrente di escludere l’ingiuria dal novero degli atti persecutori. Sebbene l’ingiuria fosse ricompresa, fino alla sua espunzione dal codice penale, tra i delitti contro l’onore e costituisca, tuttora,  una delle più frequenti forme di aggressione all’onore, sanzionato civilmente, tale illecito costituisce anche una forma – e tra le più frequenti – di molestia, soprattutto quando è posto in essere in luogo pubblico o alla presenza di altre persone, siccome idoneo a incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla condizione psichica della vittima. Ne consegue che – ove le ingiurie costituiscano fatto isolato, che non si inserisce in un più ampio contesto di aggressione alla sfera psichica e morale della persona – l’autore delle stesse sarà sanzionabile civilmente, mentre, quando le ingiurie assumono consistenza, ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito previste dall’art. 612/bis cod. pen., uno degli eventi previsti da detta norma, risponderà del reato di atti persecutori.

Pertanto, correttamente i giudici di merito  hanno  tenuto  conto  (anche) delle  ingiurie  per  giudicare  del  reato  contestato ad                                                                                                   , sia sotto il profilo della integrazione del reato che della tempestività della querela.

3 .  Le doglianze in tema di credibilità della persona offesa e quelle inscenate sotto forma di travisamento della prova  sono  inammissibili  perché  infondate,  in maniera manifesta, e perché, nonostante la loro rappresentazione formale, sono rivolte, in realtà, a sollecitare una nuova valutazione della  prova  da  parte  di questa Corte, in palese violazione delle  regole  del  giudizio  di  legittimità.  La lettura della sentenza impugnata e di quella  di  primo  grado  dimostra  che entrambi i giudici di merito hanno effettuato una  attenta  e  approfondita  valutazione   delle  dichiarazioni  della                                            , riscontrandone la coerenza e la puntualità, oltre che una precisa  collocazione  temporale;  hanno  tenuto  conto delle obiezioni difensive, anche per ciò che concerne  l’epoca  del  trasferimento della Bove presso la madre; hanno apprezzato le dichiarazioni dell’unico teste in grado di riferire circostanze rilevanti (Manca), accertandone la sostanziale conformità a quelle della persona offesa, nonostante comprensibili

della memoria, pure tenute in conto dal giudicante. Il che dimostra che il Tribunale e la Corte territoriale non si sono sottratte all’obbligo di valutazione su di loro gravante e che l’hanno fatto con completezza e logicità, con conseguente incensurabilità in questa sede.

4 . Quanto al dedotto travisamento della prova, va qui ricordato che tale vizio ricorre allorché viene introdotta nel procedimento una informazione  rilevante che non esiste nel processo  o quando  si omette la valutazione  di una prova  decisiva  ai fini della pronuncia (cass., n. 48050 del  2/7/2019,  rv  277758-01).  Il  travisamento della prova costituisce un  errore  percettivo,  e  non  valutativo,  tale da minare il fondamento del ragionamento giudiziale ed il sillogismo che ad esso presiede.  Come  chiarito  da  questa  Corte,  ai  fini  della  configurabilità  del  vizio di travisamento  della prova dichiarativa   è  necessario  che  la  relativa   deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della  dichiarazione  e quello  tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza  di  presunti  errori  da questi  commessi  nella  valutazione  del  significato  probatorio  della  dichiarazione medesima   (cass.,  n.  8188  del  4/12/2017,   rv  272406-01).  pr Tanto  non  è predicabile nella specie, in quanto il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura   delle  frasi   –   relative  all’epoca   del   reato  – pronunciate  da                                                                                                        a dibattimento, senza evidenziare alcuna reale discrepanza tra il significato ad esse attribuito dal giudicante e quello emergente dal testo della deposizione, tanto più che la Corte d’appello non si è limitata all’interpretazione di una  sola espressione, avendo letto unitariamente quelle di pag. 15 e pag. 19 della trascrizione e avendo tratto, dalle stesse, la conclusione – posta a base della decisione – che gli atti persecutori non cessarono con la restituzione del prestito, ma proseguirono, senza sostanziale interruzione, fino alla riunione condominiale del maggio 2013 . Il “travisamento della prova” costituisce, pertanto, deduzione del ricorrente, basata su una lettura alternativa della prova nemmeno poggiante su dati testuali di palese significato liberatorio, atteso che il senso probatorio, attribuito dal ricorrente all’espressione riportata in ricorso, in  contrasto  con quello eletto nel provvedimento impugnato, non presenta una evidenza inequivocabilmente deponente nel senso da lui proposto, tale da poter essere assunto senza ulteriori valutazioni in relazione al contenuto complessivo dell’esame della dichiarante.

5 . Inammissibile, infine, è la doglianza in tema di elemento soggettivo,  dal momento che – a quanto emerge  dalla  sintesi  di  motivi  di  appello,  non contestata dal ricorrente – non risulta che, sul punto, siano state  sollevate  specifiche e apprezzabili questioni nel corso del giudizio di merito. In ogni caso, l’ampia illustrazione delle condotte persecutorie, contenuta in sentenza, e l’indicazione delle conseguenze da esse determinate costituiscono dimostrazione del dolo richiesto dall’art. 612/bis cod. pen., atteso che ogni persona dotata di comune discernimento è in grado di comprendere quale effetto avranno  –  sullo stato d’animo del soggetto preso di mira – i comportamenti invasivi, e ripetuti nel tempo, attribuiti all’imputato.

Consegue a tanto che il ricorso, manifestamente infondato sotto ogni profilo, va dichiarato inammissibile. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stresso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il ricorrente va anche condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il  ricorrente  al  pagamento  delle  spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese  di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.600,00, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli  altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs.196/03 in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge

Così deciso il 16/11/2020

Il Consigliere Estensore

Il Presidente


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